L’importanza di vendere (libri)

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Milano.
Una domenica pomeriggio di mezzo inverno.
Praticamente oggi.

Alla libreria Mondadori di Piazza del Duomo l’evento di richiamo è la presenza  della diciottenne muser, top influencer (accreditata di oltre due milioni di followers tra Instagram, Youtube e TikTok – qualsiasi cosa  sia quest’altra diavoleria del web, non chiedetelo a me), nonché dell’attrice in erba Jenny De Bucci.

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Jenny De Bucci

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Tra le sue fatiche ci limitiamo a ricordare la partecipazione, oltre al reality «Il Collegio», targato RAI 1, alla serie «Un passo dal cielo 5» (e scusate se  è poco!)

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«E che ci fa Jenny in libreria? » chiederà qualcuno.
Molto semplice: è presente alla Mondadori per adempiere ai doveri relativi alla cerimonia c.d. del “firmacopie” per il suo (primo) romanzo «Girls – siamo tutte regine».
Già, perché mi sono dimenticato di dirlo: Jenny, tra un post, una foto diffusa in rete e un’interpretazione televisiva, è diventata anche scrittrice.
Alle 16 già comincia ad allungarsi nella piazza principale ritrovo di milanesi e forestieri, la lunga fila dei suoi innumerevoli fans.  O meglio, sarebbe molto più   preciso scrivere DELLE sue fans, visto che una percentuale molto prossima al 99% del pubblico in trepida attesa è composto da giovani e giovanissime esponenti del gentil sesso.

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Ed ecco che, suscitando un coro di acclamazioni  e uno scroscio di applausi, la muser/attrice/scrittrice si affaccia da  un balcone della libreria, elargendo al suo popolo adorante un saluto che rassomiglia molto a una benedizione.
Vi chiedete perché mai io vi abbia raccontato questa storia?
Allora chiedo anch’io una cosa: voi sapete come funziona un “firmacopie”?
Semplice: uno scrittore,  una sedia, possibilmente un piano di appoggio e, chi lo vuole, che si avvicina, una persona per volta,  con il libro già pronto in mano, per incassare la dedica autografa dell’ Autore di turno.
Jenny prende la cosa molto sul serio, non limitandosi ad apporre la firma sotto una frase di convenienza ma spendendo parte del suo tempo (e del tempo dei – Anzi DELLE- fans in attesa, la cui fila si intanto si va allungando sempre di più, diventando una specie di serpentone umano da carnevale cinese) in cordialissime celie. 
Anche l’occhiuto quanto severissimo bodyguard prende il proprio lavoro dannatamente sul serio: la priorità è riservata a chi ha acquistato il romanzo nella libreria, ricevendo alla cassa una specie di lasciapassare azzurro-viagra, magari anche solo un minuto prima, lasciando che gli altri (ops, LE ALTRE) schiattino di gelo e stenti sul marciapiede.
Le altre, già: ragazze che hanno comunque in mano una copia di «Girls» ma lo hanno acquistato in un un’altra libreria oppure (vergogna!) addirittura on line. Ragazze, magari (e questa davvero è la massima ignominia) che quel  libro lo hanno già letto.
L’attesa è talmente logorante che qualcuno dei genitori o degli altri accompagnatori delle reiette, ha la bella pensata di comprarne un’altra copia, per accelerare le cose).
È lo scoppio di un’epidemia: parte del serpente cinese si trasferisce alle casse, e le vendite decollano.

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Questo è quanto.
Una esemplificazione di quale sia l’andazzo di questo particolarmente grigio periodo della editoria italiana: un meccanismo di doppio sfruttamento commerciale, nel quale vengono coinvolti sia i lettori (con l’abbassamento della qualità intrinseca dei testi pubblicati) sia dei “neo-scrittori” che vengono storditi con il miraggio di una fama eterna, sedotti  con la sopravvalutazione delle loro effettive potenzialità e abbandonati come scarpe vecchie nel momento stesso in cui vengono meno i benefici derivanti di una notorietà artificiale e gonfiata a dismisura e, per questo, estremamente effimera.

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Per chiudere una doverosa precisazione:«Girls» io l’ho letto e, lo devo ammettere, sorvolando sulla validità del plot, l’ho trovato tecnicamente ben scritto.

Complimenti alla giovanissima autrice e, soprattutto, al suo bravo e professionale editor.

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Valerio Vairo

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