Le Uova di Colombo (2) – «Ai miei tempi»… che? Diamo i numeri.

Tutti lo vedono, tutti ne godono i frutti, ma molti, anzi moltissimi, continuano ad avvoltolarsi alla nostalgia come una anziana nonna al suo plaid preferito.

Sto parlando di quel concetto (piuttosto elementare e di facile comprensione, tra l’altro) che, con una parola sola, si può definire “progresso”, il bersaglio di elezione di negazionisti di ogni tipologia, dislocazione geografica ed estrazione sociale.

Passi che della non accettazione dell’evidenza si facciano alfieri i più anziani. Chi di noi, neanche il più cinico ed efferato individuo, voglio sperare, priverebbe il nonnino novantenne (facciamo anche ottantacinquenne, va!) del suo lamentoso «Eh, ai miei tempi… le donne venivano più rispettate… si mangiava sano… si respirava meglio… c’era più rispettomeno violenza…» e via dicendo.

Andiamo dunque a verificare se anche l’uovo di un progresso fatto di benefici che superano i guasti, come il suo antenato colombiano, è sodo al punto giusto e, dunque, riesce a stare agevolmente in piedi.

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  1. “Prima” si trascorreva una vita più salutare e la gente era più sana. FALSO! All’epoca del primo censimento nazionale, vale a dire nel 1861, l’aspettativa di vita era di 39 anni per gli italiani e di circa 45 per gli europei in genere. Ora, e il trend è in aumento, siamo arrivati (nel nostro Paese, che tra l’altro è tra i più longevi) a un’aspettativa di 81 anni di vita per i maschi e di oltre 85 per le femmine;
  2. “Prima” si leggeva di più, c’era più cultura. Premesso che un requisito minimo richiesto per la lettura di libri è, almeno, conoscere l’alfabeto, risalendo sempre al predetto censimento, basta fare una piccola ricerca on line per verificare come anche questo sia totalmente FALSO: sempre nel già ricordato censimento, si rilevò una percentuale di analfabetismo totale del 78%. Nel 2019, dopo anche l’opera di alfabetizzazione svolta dalla RAI nel dopoguerra con la meravigliosa iniziativa «Non è mai troppo tardi» condotta dal maestro Manzi negli anni a cavallo tra i ’50 e i ’60, la cifra degli analfabeti (si badi ben “funzionali” non “totali”) che pure è ancora inaccettabilmente consistente, si attesti al 28%.
  3. “Prima” non c’era tutta questa violenza. FALSO quanto e più delle precedenti nostalgie. Due guerre mondiali in meno di 30 anni, milioni di esseri umani schiacciati e massacrati da guerre, stermini di massa e oppressi senza possibilità alcuna di ribellione, anche nella “democratica” Europa. Si parla di autentiche stragi che vanno dall’Olocausto alle purghe siberiane, di regimi sanguinari come il nazismo, prima di tutti, seguito dal fascismo, dal franchismo, dallo stalinismo…
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4. “Una volta” i giovani erano più sereni. FALSO. Una volta i bambini più poveri (di nuovo: anche nella civilissima Europa) venivano mandati a lavorare nelle fabbriche e nelle miniere e trattati come schiavi. Non avevano alcun diritto all’istruzione (altro che didattica a distanza, di cui tanto ci si lamenta oggi!)

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Senza contare che era difficile anche diventare giovani, visto che la mortalità infantile consuntivava percentuali oggi assurde e impensabili, che raggiungevano oltre 200 decessi su 1000 nati.

5. “Prima” si viveva meglio, non c’erano tutte queste tasse! Bene, parliamo di reddito e qui bastano davvero due numeri per scoprire quanto anche questo sia FALSO. Torniamo ai primi tempi del Regno: un operaio, allora, percepiva ca. 300 lire l’anno, di cui 140 (vale a dire quasi la metà!) andavano spese solo per l’acquisto di frumento, indispensabile per sostenere la povera alimentazione sua e di tutta la famiglia. Oggi, nonostante la crisi, e nonostante si possa sempre stare meglio, il reddito medio è di oltre 20.000 € annui per famiglia: qualcosa più del pane, insomma, ci si riesce a comprare;

6. “Prima” il lavoro non era così alienante. Cosa? Più FALSO di questo davvero non c’è niente. Senza andare troppo indietro nel tempo, basti ricordare che sia nelle fabbriche che negli uffici, fino a una cinquantina di anni fa, la chiave del bagno la custodiva il capo officina o il capufficio e da lui bisognava passare per poter espletare (il più rapidamente possibile, altrimenti arrivavano rimproveri e sanzioni) le più elementari funzioni fisiologiche. Di diritti sindacali, poi, fino a dopo la guerra neanche a parlarne, lo stesso limite delle 40 ore lavorative settimanali, a pensarci bene, è conquista relativamente recente.

Resta di trattare, e non a caso l’ho lasciato per ultimo, di un argomento che, di questi tempi, non può in nessun modo essere escluso da ogni dibattito: il COVID 19.

In questo caso, davvero, non solo i numeri sono sotto gli occhi di tutti, ma l’evidenza di ciò che accade intorno a noi, ogni giorno, dovrebbe da sola farlo tenere in piedi, ‘sto maledetto uovo.

C’è (molta purtroppo!) gente che, anzi, i numeri arriva a non considerarli nemmeno, persa com’è dietro le proprie paranoie e le proprie fantasie morbose.

Gente che, nonostante in Italia continui a cadere l’equivalente di un paio di aerei al giorno (media 500 vittime della pandemia al giorno) continua a sostenere che non è vero niente.

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Per loro c’è questa semplice tabella, anche se so che non c’è rimedio per i sordi e i ciechi più senza speranza: quelli che non vogliono né sentire né vedere.

Anche qui, però, meglio anticipare la risposta a chi, senz’altro, obbietterà che “prima” la pandemia non c’era.

FALSO. La famigerata spagnola del dopoguerra provocò nel mondo tra i 50 e 100 milioni di morti. Speriamo solo di non arrivare a tanto.

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E, per evitare di dare altri numeri (che non suona bene) sarà bene che stasera a cena l’uovo io lo mangi “in camicia”.

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Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è PatCdSott20Rid.jpg   Patrizio Pacioni   (*)

 

 

(*)  Scrittore, drammaturgo e blogger