Ricordiamo tutti le singolari parole con le quali esordì dalla loggia della basilica di San Pietro il neo nominato Jorge Mario Bergoglio che, in qualità di Papa, scelse per sé il significativo quanto evocativo nome di Francesco: «Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Roma, sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo»
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Ovviamente, per quanto lontana, l’Argentina non è la fine del mondo. La terra colonizzata da un popolo di origine essenzialmente mediterranea e latina, patria della passione e del tango (due termini che nella sostanza si avvicinano molto), pur nell’ambito di una continuità linguistica e culturale, è qualcosa di profondamente altro rispetto a quell’Europa che, da tempo, si crogiola nella convinzione di essere lei, al centro del mondo. Ma non è così, non è più così.
Ed è proprio dall’Argentina, rifugio ultimo di disperati e sognatori, che viene scritta la lettera di addio di una madre arrivata all’estremo crepuscolo della vita a sua figlia, nata dal peccato ma anche da uno sconfinato amore.
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Il libro:
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In via del tutto eccezionale (del resto Giada Trebeschi è EFFETTIVAMENTE un personaggio e un’artista fuori dalla norma), invece che raccontarli noi, lasciamo che sia la stessa autrice a tratteggiare trama e contenuti del romanzo oggetto della recensione.
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La mia lettura:
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«Fino alla fine di noi» è uno di quei libri di cui un lettore attento potrebbe individuare il nome dell’autore (in questo caso autrice) anche senza leggerlo in copertina.
Un romanzo breve, come nella frequente, sia pure non esclusiva, pratica letteraria di Giada Trebeschi.
Un romanzo intenso, nel quale, come in altre precedenti opere, la scrittrice emiliana preferisce affrontare storie forti attraverso una narrazione essenziale che lasci però spazio e importanza alla descrizione di sentimenti e moti dell’anima (e della carne).
Un bicchiere di uno di quei cocktail che scendono nella gola velocemente (e con piacevole scorrevolezza) liberando la forza dell’alcool di cui sono composti, spesso di alta gradazione, solo una volta nello stomaco, quando è troppo tardi per accorgersi che non si è più completamente sobri.
Un messaggio non convenzionale, al tempo stesso carnale e spirituale, lanciato stavolta da una madre che molto aspramente ha lottato per la propria sopravvivenza e molto ha vissuto non negandosi a sconvolgenti passioni. La travagliata protagonista della storia Maria Elena de’ Mari, e/o Dora Ferrando Maggiolo, come ci si può aspettare dalle precedenti storie raccontate da Giada Trebeschi, è un personaggio fuori dalle righe tracciate dalla tradizione e dalle convenzioni, fragilissima e fortissima allo stesso tempo: una donna capace di dividersi tra due fratelli che l’amano di amori diversi tra loro e di dividere il proprio uomo con un’amante servile. Una madre che arriva a consigliare alla propria figlia: «Ti auguro di avere più di un amante, e almeno un uomo che abbia avuto molte donne, un uomo che sappia come toccarti, come amarti. Qualcuno che abbia imparato sulla propria pelle anche a costo di molte ferite, che il piacere apre nuove vie, che il vero erotismo, quello condiviso, perverso e giocoso, complice e irrazionale, accende non solo il corpo, ma soprattutto l’anima»
Fidatevi di Giada. Lasciatevi affondare tra le righe di questa sua più recente prova letteraria abbandonando remore e preconcetti, e vivete, per cento pagine dense di vita e di morte, passioni senza se e senza ma.
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Giada Trebeschi, bolognese, ha due lauree e un dottorato in Storia, parla cinque lingue ed è interprete simultaneo e traduttore. Attualmente vive e lavora in Germania ma è spesso on tour per presentare le sue opere, partecipare a festival, eventi teatrali o fare da interprete simultaneo ad autori come Wulf Dorn, Tim Willocks, Petros Markaris, Alex Connor. Daniel Cole, Clemens Meyer e altri. La sua La rubrica delle parole desuete, la webserie e il podcast Sapevatelo sono molto amati e seguiti sui social. Ama l’arte, la danza, i cavalli e accettare sempre nuove sfide.
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