Scarpetta parla siciliano e a Misterbianco si ride… da pazzi!

Il teatro Nelson Mandela di Misterbianco ha un ampio e moderno palcoscenico, può ospitare finoa 500 spettatori e… sa ancora di nuovo.

Non è nuovo il gruppo che si è battezzato Teatro Siderurgico,  nato ufficialmente nel 2009, ma impegnato nell’ideazione e realizzazione di spettacoli di prosa da oltre quarant’anni.

Dall’esperienza dei soci fondatori (Michele Condorelli, Gianni Zuccarello, Alfiotano Costanzo, Eva Nicotra, Rosa Lao, Dina Palmeri, Piero Di Prima, Rossella Di Natale, Nicola Abbadessa) è nata in una fucina di pratica e di idee che, anno dopo anno, ha favorito la crescita di nuove generazioni di appassionati.

«La nostra filosofia è legata ad un modo di vedere il teatro come strumento di cultura, in senso lato; che si rivolga a tutti e che tratti i temi più disparati, da quelli più drammatici a quelli comici e spensierati» amano dire di sé.

Il primo spettacolo della stagione 2017/2018 (la quarta rappresentata nel nuovo teatro di Misterbianco) è un classico della commedia brillante italiana.

.

   

.

.

   La commedia

Come una serata di fuochi artificiali vede nell’ultima girandola il momento più spettacolare, così Edoardo Scarpetta scrisse una delle sue migliori commedie,  «Il Medico dei Pazzi», nel 1908, vale a dire un solo anno prima del suo addio dalle scene.

La trama è semplicissima: Ciccillo (ribattezzato nello spettacolo Nicolino) è un giovane sfaccendato, ai nostri giorni quel che si definirebbe un “bamboccione”, alimenta i propri vizietti (compreso quello, pericolosissimo, del gioco) facendo credere al ricco zio Felice Sciosciammocca (ribattezzato nello spettacolo Alfio Pennisi), attraverso un’articolata collezione di bugie di ogni tipo,  di essere seriamente impegnato nella costruzione di una brillante carriera medica bisognosa di supporto finanziario.

Forse non sarà sempre vero che le bugie hanno le gambe corte, ma certo, prima o poi, quando si mette in piedi una così complessa costruzioni di menzogne, prima o poi accade che un colpo di vento finisca per farla cadere giù: in questo caso è la pretesa di un certo guappo, peraltro giustificata, in un certo senso, intenzionato a riscuotere quanto Ciccillo ha perso al tavolo di una delle sue bische. Preoccupato per le conseguenze del prolungarsi dell’insolvenza, complicato dall’arrivo in città dello zio Felice, intenzionato a verificare i progressi del nipote, il suddetto bamboccione non trova di meglio che far passare una pensione, peraltro davvero abitata da personaggi piuttosto strambi, per la clinica psichiatrica che egli stesso dirige.

Con le tragicomiche conseguenze che si possono facilmente immaginare, conoscendo Scarpetta.

Al di là della facile risata, però, come al solito Scarpetta non manca di far passare un messaggio di livello superiore, questa volta, consapevolmente o meno, di chiaro riferimento pirandelliano: cos’è davvero la follia e, soprattutto, che differenza c’è, in realtà, tra i “sani” e i “pazzi”?

.

    L’Autore:

Eduardo Scarpetta (1853 – 1925) padre del grande Eduardo De Filippo e grande maestro del teatro italiano, per Napoli fu il più importante attore e commediografo negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Discendente da una famiglia della media borghesia partenopea, decise già da adolescente (15 anni), decise di intraprendere la carriera teatrale per assecondare la sua passione ed aiutare economicamente la famiglia caduta in disgrazia. Diventato capocomico della compagnia di Antonio Petito, dal 1870 raccolse enorme consenso con il personaggio di Felice Sciosciammocca nella farsa Feliciello Mariuolo de na pizza

Dopo aver rinnovato grazie a un prestito lo storico teatro San Carlino, ne fece il palcoscenico dei suoi maggiori successi: da Li nepute de lu sinneco a ‘Na Santarella, passando per Miseria e nobiltà (celebre la versione cinematografica del 1954, interpretata dal grande Totò). Molte vennero riprese dal figlio Eduardo, che ebbe dalla relazione extra-coniugale con Luisa De Filippo (da cui nacquero anche Titina e Peppino).

Portato in tribunale da Gabriele D’Annunzio, irritato (a dir poco) per una parodia della tragedia La figlia di Iorio, Scarpetta si ritirò dalle scene, trascorrendo gli ultimi anni nella sua villa del Vomero.

.

Lo spettacolo:

.

.
Quella che porta in scena il Teatro Siderurgico è un adattamento molto “libero” della celeberrima commedia di Scarpetta per la regia di Pippo Gullotta. Non solo per l’adozione del siciliano in luogo del napoletano,  ma anche e soprattutto per una impostazione scenica, che coinvolge scenografia, ritmi recitativi e, in certi casi, le stesse battute, ispirate alla liscìa catanese.
Una contaminazione troppo ardita? Un pericoloso azzardo?
Probabilmente sì, ma ben riuscito.
La rielaborazione di Aldo Lo Castro conferisce alla pièce rappresentata al teatro Mandela una identità propria che, pur conservando l’arguzia narrativa di Scarpetta, risulta alla fine assolutamente godibile per gli spettatori.
Alla positiva conclusione dell’esperimento contribuiscono gli attori che, con un singolare equilibrio di livello recitativo, riescono a mantenere incalzante la narrazione, disegnando e caratterizzando effiucacemente personaggi, anche di minore importanza, destinati a rimanere ben impressi nella memoria: cito, non esaustivamente, Michelino (il fin troppo accondiscendente amico del bamboccione interpretato da Daniele Lando), le gemelle siamesi (Rosa Lao e Vittoria Smirti), il burbero pompiere (Nicola Abbadessa), lo stordito e sgtralunato direttore della pensione (Pippo Santonocito), l’attore Vittorio (Giovanni Zuccarello) etc. etc.
Tra tutti, a mio avviso, emergono però l’ottima interpretazione di Alfio / Felice Sciosciammocca nelle cui vesti si cala un Alfiotrano Costanzo in gran forma e la spassosa interpretazione che Marinella Maugeri riesce a dare dell’imbranatissima Agatella, zitella senza speranze.
Azzeccate le scene allestite dalla Ditta Balsamo e assolutamente perfetti i costumi del duo Rosy Bellomia e Shirley Campisi.
Nel corso della commedia risate a non finire e, al calare del sipario, prolungati e convinti applausi da parte degli spettatori che riempivano quasi per intero i 500 posti del Nelson Mandela,  resi ancora più caldi e festosi dall’atmosfera familiare.
Per concludere un’ultima osservazione, dettata dalla visione di questa recita ma di carattere più generale: il cosiddetto teatro di provincia, spesso teatro di base portato avanti da attori non professionisti, riveste, a mio modo di vedere, soprattutto quando ben realizzato come nel caso del Teatro Metallurgico, riveste un ruolo determinante per avvicinare nuovo pubblico alla prosa. 
 
 
 
E allora sapete che vi dico?
Evviva la liscìa.
.

    GuittoMatto