Le Uova di Colombo (15) – L’Esodo tra realtà, mito e narrazione cinematografica.

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Attenzione: qui si trattano OVVIETÀ NON PERCEPITE: spunti di riflessione su quegli argomenti che sembrano banali e scontati ma che, per molteplici quanto validissime occasioni, molto spesso non risultano affatto tali.

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Esodo: leggenda o realtà? Se fermassimo delle persone per strada, in diverse parti del mondo, e gli domandassimo: «Mentre Moshe stava ricevendo le Tavole della Legge sul monte Sinai, cosa stava facendo il popolo di Israel?», quasi tutti, o comunque una grandissima maggioranza, risponderebbe: «Stava adorando il vitello d’oro». Risposta sommariamente corretta, ma non del tutto precisa se analizziamo più a fondo il testo della Torah (il Pentateuco).

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La ragione sta probabilmente nell’enorme successo che ha avuto il film «I dieci comandamenti» di Cecil B. DeMille, e nel modo in cui questo colossal hollywoodiano, tuttora trasmesso puntualmente ogni anno in questo periodo, ha influenzato intere generazioni. Si tratta di opera straordinaria dal punto di vista cinematografico, ma l’autore è stato fedele al testo originale?

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Vediamo brevemente cosa dice la Scrittura. Prima di entrare in Terra di Israel, Moshe fa un lungo discorso al popolo e, riferendosi a ciò che è avvenuto ai piedi del Monte Sinai, dice: L’Eterno vi ha parlato da dentro il fuoco, avete ascoltato il suono delle parole, però non avete visto alcuna forma, solo una voce. Egli vi ha comunicato il Suo patto, con il quale vi ha comandato le dieci parole, e lo ha scritto su due tavole di pietra (Deuteronomio 4.12-13). L’intero popolo ebraico ha dunque “udito la voce” dell’Eterno, qualunque sia il significato esatto delle parole, non è questo il punto della questione, risulta del tutto evidente che si tratta di una rivelazione divina, ma non individuale o di un ristretto gruppo di persone, bensì di un intero popolo.

Questa è la differenza sostanziale tra la narrazione cinematografica e il racconto biblico. Ma perché è così importante, anzi fondamentale, sottolineare questa discrepanza che, a prima vista, appare irrilevante? Nel caso di una rivelazione personale non c’è alcun modo di dimostrarne l’autenticità, per la mancanza di prove tangibili e l’assenza di testimoni, ed è altrettanto vero che per le stesse ragioni non vi è neppure modo di smentirla. Pertanto, per credere ad un profeta di questo tipo è necessario un vero e proprio salto di fede, ciascuno può decidere liberamente se farlo o meno, ma non saprà mai con certezza se le sue parole sono veritiere o se invece si tratta di un inganno. La situazione non cambia di molto se dovesse presentarsi, al momento o nel corso del tempo, un manipolo di testimoni, specialmente se questi avessero un qualche interesse o vantaggio nel supportare il sedicente profeta e, a scanso di equivoci, diciamo anche che eventuali miracoli non dimostrano assolutamente nulla, se non che la persona in questione sia in possesso di abilità straordinarie.

Quello che avvenne alle pendici del Monte Sinai è ben differente. In questo caso un intero popolo, il popolo di Israel appena sfuggito dalla schiavitù in Egitto, presenziò alla rivelazione dell’Eterno, milioni di persone furono testimoni della veracità della profezia di Moshe. Si tratta di un evento unico nella storia, ma soprattutto di un fatto impossibile da inventare. Mi spiego. Nei suoi libri Moshe non ha raccontato un episodio vissuto solamente da lui o da alcuni discepoli, ma ha intimato a tutto il popolo di non dimenticare eventi dei quali loro stessi erano stati protagonisti, e non c’è modo di convincere un così grande numero di persone di aver vissuto un’esperienza che non ha mai vissuto. È quindi impossibile che sia un’invenzione di Moshe. E se invece fosse il frutto della immaginazione di qualcun altro? Se qualcuno successivamente, nel corso della storia, avesse presentato al popolo di Israel un libro che narra la sua epopea attribuendogli un’origine divina per dargli più importanza? In fin dei conti dopo tanto tempo come si può conoscere la verità?

Anche questa eventualità è impossibile. Nel momento in cui fosse venuto alla luce uno scritto del genere, tutti si sarebbero resi conto immediatamente della menzogna, per il semplice fatto che un evento di una importanza così straordinaria che ha coinvolto un così grande numero di persone non può essere ignorato da tutti per secoli. Magari qualcuno potrebbe non averne memoria e qualcuno potrebbe addirittura averlo anche studiato e poi dimenticato, ma è impossibile che mai nessuno ne abbia sentito parlare. Proprio perché ha coinvolto tutto il popolo deve per forza aver lasciato una traccia nella memoria nazionale, deve esserci senza alcun dubbio qualcuno che lo ha raccontato, che lo ha tramandato di padre in figlio, generazione dopo generazione.

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Rimane quindi un’unica possibilità: che si tratti della verità. Inoltre, la Torah è sostanzialmente un libro di norme, che stabilisce un vincolo con la divinità e impegna chi ne accetta l’autorità a rispettare una enorme quantità di precetti e divieti (ben 613!), il fatto che milioni di persone, per più di tre millenni, ne abbia scrupolosamente osservato le leggi, nonostante difficoltà e persecuzioni, è di per sé un’evidenza che la catena di trasmissione non si è mai interrotta, da Moshe fino ad oggi. Su questo si fonda non solo l’intera tradizione ebraica ma l’identità stessa del popolo di Israel. Ma se per millenni l’autenticità del racconto biblico non è mai stata messa in discussione, oggigiorno invece la maggior parte delle persone, molte anche all’interno del popolo ebraico, non considera l’Esodo dall’Egitto e la consegna delle Tavole della Legge sul Monte Sinai come dei fatti storici ma piuttosto come una leggenda. Il motivo di questo cambio nella credenza popolare è quasi certamente da attribuire alla cosiddetta “critica Biblica”, un modello interpretativo dei Testi Sacri che si diffuse nell’Ottocento, e al fatto che le scuole e le università di tutto il mondo, così come i mezzi di divulgazione scientifica, hanno adottato questa idea e presentano la Torah (o la Bibbia in generale) come poco più di una favola per bambini. Chi segue questa scuola di pensiero, che nega l’origine divina della Scrittura, afferma che il popolo ebraico non è mai stato schiavo in Egitto e che l’Esodo non è mai avvenuto.

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Ma quali sarebbero le prove di questa teoria? Semplice, non vi è alcun monumento in Egitto che lo raffiguri né alcun papiro che ne parli, fine del discorso. Per molte persone questo sembra un argomento schiacciante, soprattutto considerando che a sostenerlo sono accademici e scienziati.

Ma è veramente così? Per cominciare diciamo, citando il Rav Yosef Biton, che «absence of evidence is not evidence of absence», ovvero l’assenza della prova non è prova dell’assenza. In secondo luogo dobbiamo considerare che i Faraoni egizi, così come tutti i sovrani dell’antichità, facevano costruire i monumenti per autocelebrarsi, quindi vi raffiguravano quasi esclusivamente successi e vittorie, non certo una cocente ed umiliante sconfitta. Inoltre, un’enorme quantità di papiri egizi e di altri documenti storici sono andati perduti nell’incendio che ha distrutto completamente la biblioteca di Alessandria dove erano conservati. Non dovrebbe quindi stupire il fatto di non trovare prove documentali dell’Esodo e certamente non è intellettualmente corretto portarlo come prova per screditarlo.

Ma in genere la ragione principale per la quale non si trova qualcosa è che la si sta cercando nel posto sbagliato, nel nostro caso sarebbe meglio dire nel “tempo sbagliato”. Simcha Jacobovici, un ricercatore archeologico e regista cinematografico, ha realizzato nel 2006 un bellissimo documentario per History Channel, «The Exodus Decoded» (l’Esodo decodificato), prodotto e narrato da James Cameron, nel quale cerca le tracce della presenza e dell’uscita di Israel dall’Egitto. Jacobovici parte dall’ipotesi che nessuno era riuscito nell’impresa a causa di un errore nella datazione dell’Esodo, invece che durante il regno di Ramsete II, andrebbe fatto risalire al periodo del regno di Achmose I, un paio di secoli prima. A questo punto, avendo il quadro temporale corretto e seguendo il testo della Torah, inizia a trovare una dopo l’altra le conferme archeologiche della sua teoria. Il documentario è una sequenza di prove tangibili degli avvenimenti straordinari narrati nel Testo, dalla storia di Moshe a tutte le dieci piaghe, dall’apertura del mare alla rivelazione sinaitica.

E così siamo partiti da una straordinaria opera cinematografica, mondialmente conosciuta e apprezzata, che ci presenta fatti storici in forma di leggende, e chiudiamo il cerchio con un’opera cinematografica, altrettanto straordinaria a mio giudizio, sebbene praticamente sconosciuta, che ci dimostra che quelle leggende siano in realtà dei fatti storici. Qualcuno potrebbe obiettare che dandone una spiegazione scientifica si sminuisce il miracolo e in parte potrebbe essere vero, il fatto che sia scritto nella Torah è di per sé garanzia assoluta di autenticità, come abbiamo detto, senza necessità di cercare prove materiali. Ma è possibile far coesistere le due posizioni? La risposta è sì. Secondo chi ne dà una spiegazione razionale, la straordinarietà degli eventi dell’Esodo non risiede in una sospensione delle leggi fisiche, piuttosto nel loro assoggettamento alla volontà dell’Eterno, ovvero il miracolo non avviene annullando le forze naturali ma dominandole.

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Qualunque sia il percorso la conclusione è la medesima, si tratta di una realtà, sebbene non percepita da molti assolutamente inconfutabile per chi si sofferma a ragionare.

Visto? Al nostro Uovo di Colombo ci siamo arrivati anche questa volta!

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Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Copia-de-imágen-de-perfil-1012x1024.jpg   Alessandro Basoni (*)

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(*) Scrittore per passione e per diletto. Da quasi venti anni studioso di ebraismo e testi sacri.

Un commento su “Le Uova di Colombo (15) – L’Esodo tra realtà, mito e narrazione cinematografica.

  1. Molto interessante. Vorrei chiedere all’autore cosa ne pensa del saggio di Freud su Mosè e l’origine del monoteismo. Grazie!

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