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Attenzione: qui si trattano OVVIETÀ NON PERCEPITE: spunti di riflessione su quegli argomenti che sembrano banali e scontati ma che, per molteplici quanto validissime occasioni, molto spesso non risultano affatto tali.
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C’era un tempo – poi non tanto tempo fa – che avevamo delle certezze. Un maleducato era un maleducato e non una persona con una diversa concezione della vita. Le infezioni batteriche – quelle gravi – si curavano con gli antibiotici e non con l’aceto di mele. Se si avevano ospiti in casa, era buona norma non tenere la TV accesa al massimo volume.
Anche se, già allora, qualche illuminato si sentiva estraneo e cercava un centro di gravità permanente, in fondo si era felici e soddisfatti dei progressi della scienza e della tecnica.
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Alcune malattie gravi – come la poliomielite e il vaiolo – erano state debellate, grazie ai vaccini. La mortalità infantile era ai minimi storici. La vita media si era allungata e nel Paese non c’erano più analfabeti.
Analfabeti strutturali, intendo.
La prima volta che ho sentito il termine “analfabeta funzionale” l’ho sentito da un mio adorato direttore marketing che si crucciava perché non riusciva più a trovare un PM (Product Manager) che fosse in grado di stendere un piano di marketing in un italiano decente. Eravamo alle soglie del 2000.
Ma, già nel 2000, il termine era obsoleto. Era stato infatti coniato nel 1984 dalle Nazioni Unite e dal suo braccio cultural-scientifico-educativo, l’UNESCO.
Cosa era successo? Qualcuno, pieno di ottimismo, aveva pensato che, liberando dall’analfabetismo i paesi del terzo mondo, questi avrebbero conosciuto uno sviluppo economico e sociale incredibile. Ma, ahimè, le cose non andarono come sperato.
La gente ora sapeva leggere. Sapeva scrivere. Ma non si evolveva e soprattutto non contribuiva all’evoluzione del proprio paese. L’analfabetismo strutturale era stato sconfitto, ma si era scoperta una nuova piaga: quella dell’analfabetismo funzionale.
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All’analfabetismo funzionale ho ripensato alcuni mesi or sono, quando ho incominciato a sentir fare, attorno a me, discorsi strani. Discorsi e ragionamenti che mi hanno creato un forte e imbarazzante senso di estraneità da molti dei miei simili.
Spinta dalla curiosità, che è mia molla insaziabile, sono andata a documentarmi. Così ho trovato un’indagine di 384 pagine
http://www.isfol.it/piaac/Rapporto_Nazionale_Piaac_2014.pdf
condotta nel 2013 e denominata PIAAC-OCSE (Programme for International Assessment of Adult Competencies) realizzata dall’ISFOL (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori).
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In estrema sintesi, questa indagine che ha coinvolto 24 paesi, Italia compresa, ha valutato alcuni parametri, in particolare, literacy e numeracy.
Questi parametri indicano il livello di competenza di una persona per quanto riguarda, rispettivamente, la capacità di comprendere e valutare un testo scritto e di comprendere e valutare un’informazione matematica.
Per ogni parametro, sono stati individuati 5 livelli, dove inferiore ad 1 indica modestissima competenza, mentre i livelli 4 e 5 piena padronanza della materia. Il raggiungimento del livello 3 è stato considerato come elemento minimo indispensabile per un positivo inserimento nelle dinamiche sociali, economiche e occupazionali.
A questo punto, la vostra curiosità, se non avete già letto il rapporto o non ne avete sentito parlare, sono sicura, sarà alle stelle.
Ecco, quindi, i risultati per l’Italia!
Come si può vedere dal grafico, il famoso livello 3 (quello minimo indispensabile) ha colore verde scuro.
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Ciò significa un qualcosa di fronte al quale il riscaldamento climatico appare una semplice bagatella.
Il 70% – dico il 70% – della popolazione italiana si colloca al di sotto del Livello 3! Ovvero a quel benedetto livello di competenze considerate necessarie per interagire in modo efficace nella società del XXI secolo.
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Ma voi direte…va bene, ma chissà gli altri paesi? No, signori miei. Gli altri paesi non stanno benissimo, ma stanno decisamente meglio. L’Italia, infatti, si colloca all’ultimo posto in literacy e al penultimo in numeracy, seguita dalla Spagna.
Qual è l’ovvietà? Che adesso, se sentite fare discorsi strani ai vostri vicini, sapete di cosa si tratta.
E poiché l’analfabetismo funzionale non viene da solo, vi lascio con un’altra chicca: l’effetto Dunning-Kruger!
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Patrizia Serra (*)
(*) Patrizia Serra, detta Zizzia (solo da sua madre), farmacista, ma anche copywriter e direttore creativo. Quindi multiforme o incasinata. Comunque da sempre fortemente resiliente, anche in era ante Covid.