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Sai quando vai al cinema e il primo quarto d’ora pensi:
“Che palle ‘sti film coreani, ma come hanno fatto ad assegnare tanti Oscar a una ciofeca pallosa come questa?”
Ma poi la pellicola va avanti e, quando stai uscendo dalla sala, ti ritrovi a pensare:
“Ma che storia è questa? Ma quanta adrenalina in libertà, ma che figata è? Ma quanta roba da pensare ti rimane in testa dopo avere visto un film del genere? Ecco perché ha meritato quattro statuette e due nomination!”
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Ecco, in queste due frasi (e fasi) si concentra e si estrinseca quanto ho provato ieri sera andando a vedere «Parasite»: un’opera decisamente originale, di quelle che fanno discutere (anche con se stessi).
La storia di una famiglia (i Ki-taek) relegata ai limiti della comunità, costretta in un seminterrato umido e maleolente, in continua lotta con la povertà, i cui quattro componenti (padre, madre, un figlio e una figlia, tutti rigorosamente disoccupati) sono stati abrasi come sassi marini, nella sensibilità umana dalla necessità di sopravvivere.
Individui non immorali ma irrimediabilmente e irreversibilmente amorali, privi di ogni scrupolo quando si tratta di salire un gradino della scala sociale, insinuandosi da dipendenti nella opulenta e potente famiglia dei Park, capaci, letteralmente, di salire sui corpi e sulle anime degli altri pur di elevarsi un po’ dal degrado e dalla miseria. Ed è esattamente ciò che fanno, senza esitazione alcuna, i protagonisti della storia, ricorrendo ai trucchi e all’astuzia dei più miserabili.
Eppure, man mano che la storia va avanti, investendo e travolgendo anche le fragilità di coloro che possiedono e che sanno, di quelli che, per disponibilità di mezzi e di concetti, possono comprendere e godere culturalmente “la bellezza”, questo nucleo di diseredati (di sfigati) riesce persino a conquistarsi qualche simpatia da parte degli spettatori, suscitando in sala l’inquietante interrogativo se, alla fine, sia più indigeribile la violenza e la “puzza” dei poveri o la pur inconsapevole protervia dei ricchi.
Assolutamente da vedere.
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Valerio Vairo
“ …abrasi come sassi marini “ !!
Complimenti Cardona…!!