Confesso: odio Ionescu. Ma…

«Il fatto è che non lo capisci» dirà certamente qualcuno. «L’autore di La Cantatrice chauve, Eugène Ionesco, uno dei maggiori esponenti del Teatro dell’Assurdo (un movimento che nasce nel secondo dopoguerra mettendo in discussione la logica e la razionalità della vita quotidiana), è unanimemente considerato un grande innovatore delle tecniche tradizionali, della commedia in particolare e attualmente annoverato tra i più rilevanti commediografi del XX secolo. Non è certo a caso che fu nominato accademico della prestigiosissima Académie Française e che la Romania, sua nazione d’origine, nonostante la scelta che egli fece di scrivere la maggior parte delle sue opere in lingua francese, continua ancora oggi a reputarlo uno degli artisti che hanno dato maggior lustro alla propria terra».

Quanto alla Cantatrice calva, della quale mi vado ad occupare dopo avere assistito allo spettacolo andato in scena al Teatro Odeon di Lumezzane per la regia di Lorenzo Trombini, prima ancora di cominciare a esprimere il mio parere, avverto forte e chiaro il severo ammonimento a non mancare di rispetto alla più iconica, geniale e rivoluzionaria delle sue opere.

Detto e premesso questo, confermo: lungi dal divertirmi o coinvolgermi emotivamente o almeno interessarmi ed emozionarmi (e in proposito faccio mia un’affermazione di Walter Veltroni: “se esco dal teatro senza emozioni, capisco di avere perso il mio tempo“), la scrittura di Ionesco mi annoia e a volte mi indispone profondamente. Tra l’altro, se mi è consentita un’osservazione innegabilmente malevola, il debutto in scena della Cantatrice si risolse in un vero e proprio fallimento di pubblico. Sembra che, per farsene una ragione, il commediografo franco-rumeno dichiarò che il pur pesante insuccesso non lo scoraggiava dal momento che “se non altro aveva individuato ciò che aveva da dire e il modo in cui dirlo“.

Va bene, Eugène: l’abbiamo capito anche noi:  i tuoi personaggi che parlano, parlano e parlano senza tuttavia comunicare alcunché, reiterano sul palcoscenico ciò che normalmente fanno nella vita di ogni giorno gli esseri umani, in particolar modo gli appartenenti a una certa middle class con la pancia piena e la mente vuota. Ci vuoi far sentire insicuri, spaesati anche seduti in platea, come siamo nella realtà, forse per indurci a reagire in qualche modo e a prendere coscienza… non si sa bene di che.

Sì, ma… e poi?

Intendiamoci, non è che con l’Autore di Rhinocéros , Tuers sans gages, Le Roi se meurt, e tante altre pièces, io abbia in sospeso un conto personale, anche se certe sue convinzioni, pubblicamente espresse, non possono che lasciare alquanto perplessi. Prima tra tutte quella secondo la quale, a suo parere, l’autore teatrale non deve soffermarsi sugli eventi storici e politici. Un’autentica pietra da lapidazione per chi, come me, si occupa con la passione e la convinzione di chi ritiene che uno dei contributi che un autore possa dare al mondo in cui vive è quello di immergersi nel flusso della storia e della cronaca per recuperarne suggerimenti.

E se la cosa non dovesse valere per una nullità come chi scrive, mi chiedo cosa direbbe il caro Eugène di un certo drammaturgo inglese (le cui iniziali erano W:S:) che nei suoi lavoretti teatrali andrò a ripescare e riproporre rielaborate le tragiche vicende di personaggi come Coriolano, Tito Andronico, Giulio Cesare, Antonio, Cleopatra, Riccardo III, i vari Enrichi…

Basta. Dopo la parentesi polemica è arrivato il momento di occuparci dello spettacolo andato in scena all’Odeon.

Ho visto un attento lavoro di regia sia sui tempi e sugli attori che hanno risposto nel complesso molto bene, sia pure con risultati differenti sui quali non ho nessuna intenzione di soffermarmi visto che non è questa non è certo la sede più ideale per compilare pagelle né tantomeno per stilare classifiche di merito..

Analogo impegno ha messo Lorenzo Trombini (altrettanto bravo sia indossando la giacca del regista che quello dell’interprete) nella  cura di quei numerosi dettagli che, nel caso di Ionesco, non risultano mai meramente e banalmente tali.

Serrato come si conviene il ritmo della narrazione, efficace e funzionale la gestione dei tempi e dei movimenti, essenziali in questo tipo di rappresentazione più che in altri.

Suggestiva la scenografia, impeccabili le luci, adeguati e coerenti i costumi.

Un risultato tutt’altro che scontato al quale quelli dell’Accademia Arte e VitaTeatro delle Ali, però, grazie all’impegno costantemente profuso nella preparazione e nell’allestimento delle proposte artistiche, sembrano essersi piacevolmente abituati.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è cropped-favicon.jpg     Patrizio Pacioni  

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