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Attenzione: qui si trattano OVVIETÀ NON PERCEPITE: spunti di riflessione su quegli argomenti che sembrano banali e scontati ma che, per molteplici quanto validissime occasioni, molto spesso non risultano affatto tali.
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Tornare alla normalità. Se ne parla tanto come di un recupero di qualche cosa che per un po’ abbiamo lasciato in sospeso, un lavoro da riprendere, un impegno rimandato. Ma è veramente questo che vogliamo?
Cos’è la normalità?
Dicono che sia l’ordine delle cose. Ma ognuno di noi ha il proprio ordine delle cose. Se ne esistesse uno solo come si chiamerebbe?
L’idea di normalità è consolatrice perché ci fa sentire simili, uguali agli altri, lontani da fughe e deviazioni.
Chi non la accetta è un provocatore. Mentre se si aderisce ai valori e ai comportamenti cui la maggior parte della gente acconsente ci si sente accettati, si rientra nel gregge.
La normalità esiste solo per definire gli anormali e gli irregolari? E siccome si ha paura di chi è fuori dal coro, allora ci si aggrappa a un’icona confortante, se sei “in” non sei “out”, se sei dentro sei normale quindi socialmente accettabile.
Se per normalità si intendesse il nostro, personale, ordine delle cose, allora qual è il comportamento normale?
Ciascuno di noi possiede il proprio senso del vivere. Un proprio ordine delle cose, cui corrisponde un elenco di priorità, diverso per ciascuno di noi. Ma forse per inseguire la normalità non abbiamo accettato di tutto?
Macchine inquinanti, aerei supersonici, alberi abbattuti, bicchieri di plastica, telefoni come estensioni delle nostre braccia e del nostro cervello… e poi, se una cosa non funziona si butta e se ne compra una nuova. Non si aggiusta più nulla… oggetti, vestiti… non si ripara… si butta via.
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Nonna mi raccontava che ai suoi tempi si rivoltavano i cappotti e i vestiti si passavano da un fratello all’altro. Oggi semplicemente si dismette e se ne compra uno nuovo.
C’era chi di mestiere riparava, aggiustava, … e oggi? Ti dicono che non conviene, che costerebbe troppo. E così per tutto.
Ritorno alla normalità… Ma non ci vuole forse un po’ di diversità per uscire da tutta questa omologazione, che volendoci tutti uguali, ci nasconde gli uni agli altri come avvolti da un sottile velo di nebbia? Non ci riconosciamo più, o meglio, ci riconosciamo soltanto fra simili, fra i tutti uguali.
Molti scambiano normalità con realtà. Ma la vita è reale quando è al lordo di tutto e per un po’ (anche se costretti) abbiamo vissuto al netto (dolore e morte inclusi).
La cosiddetta normalità tende ad escludere l’intoppo. La normalità esige che tutto sia verosimile e mai vero.
Abbiamo dovuto frenare all’improvviso le nostre vite. Un’inerzia imposta che ci ha costretto (non tutti) a pensare. Qualche cosa si è rotto e per aggiustarlo ci vorrà costanza, fantasia, dedizione. La cicatrice sarà allora come un sottile filo d’oro.
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In Giappone, la rottura di una ciotola o di un vaso diventa un’occasione per renderli ancora più pregiati.
Proprio grazie alle fratture provocate dalla rottura, la pratica del Kintsugi aggiunge valore all’oggetto, evidenziandone le linee e restituendogli una nuova vita.
Il termine giapponese “kintsugi” deriva da “kin” (“oro”) e “tsugi” (“ricongiunzione, riunione, riparazione”).
Per rimettere insieme i pezzi di un oggetto rotto si utilizza un metallo prezioso (di solito oro o argento liquido oppure una lacca di polvere dorata). Quando i cocci vengono riuniti saltano fuori alcune nervature che rendono il pezzo più originale di prima, perché le cicatrici, anziché privarlo del suo valore, gli conferiscono un aspetto unico ed irripetibile, grazie alle ramificazioni che si formano per la rottura esaltate con l’applicazione del metallo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Kintsugi
Per troppo tempo siamo andati avanti con superficialità, perché la superficialità è più rapida e consolatoria e ci consente di evitare e fuggire i nodi delle nostre vite soprattutto quelli più scomodi.
Non perdere l’attimo. Come il coniglio di Alice, corri corri… non ti fermare, non ti fermare … a pensare.
E ora? Ambire a un ritorno della normalità o cambiare e rendere preziose le nostre “nervature” d’oro?
Vogliamo veramente un copia incolla di quello che eravamo prima?
Però riflettendoci, è paradossalmente consolatorio che forse tornare indietro non sarà possibile. Panta rei (in greco πάντα ῥεῖ) , tutto scorre, tutto cambia. Siamo comunque nostro malgrado cambiati noi, è cambiato il tempo e ci sarà quella che chiamano una nuova normalità. E per fortuna non ci sarà un ritorno perché indietro non si torna mai.
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Chi decide chi è normale?
La normalità è un’invenzione di chi è privo di fantasia.
(Alda Merini)
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Monica Tovo (*)
(*) Monica Tovo, una laurea in lettere nel cassetto, ex account in agenzia di comunicazione e appassionata di psicologia. Curiosa nella vita e della vita, perché spesso le cose ci passano sotto il naso e non ci accorgiamo di nulla guardando nel posto sbagliato.
Meglio tardi che mai….quest’uovo mi colpì quando lo lessi, mi ero ripromesso di lasciare un commento, rammento, forse?, che ho risposto alla mail che diceva:. ecco un cocco, un cocco per te…
Com’è che si chiamava il fanciullo ? Aveva o non aveva gli zoccoli ?
Quest’uovo mi ha riportato alla mente quando, nell’ormai lontano 1976/77, a seguito della Gazzetta Ufficiale, utilizzavo come strumento di lavoro l’espressioni: “di norma” e “secondo la norma”. E questo relativamente alla “concessione del telefono”.
Oggi mi sfuggono i nomi, non ha che fare col libro dello Scrittore…..
Cmq, è un uovo da ribere, pardon..rileggere !