Storia, Maestra di vita.
Ciò che si rivela un dramma per nazioni e popoli, comincia spesso in modo ridicolo, e ciò che in un primo tempo può apparire soltanto ridicolo, se sottovalutato, con il trascorrere del tempo può trasformarsi in un’autentica e irrimediabile tragedia.
Questo, in buona sostanza, l’insegnamento più immediato che si può trarre dall’opera del drammaturgo di origine albanese Çlirim Muça, ieri all’esordio sul palcoscenico del teatro “L’Ordigno” di Vada.
La trama
Adrasto Primo, paranoico e crudele dittatore di Pecor City, sogna di estendere il suo potere alla confinante Pollandia. Prendendo per pretesto una presunta azione terroristica messa in atto dai Pollandesi, dopo avere indetto (e condizionato con uno spudorato broglio) un referendum popolare, dichiara guerra. Ebbro di smania di conquista e becera violenza, non si accorge, però, di essere a sua volta manovrato dall’insospettabile consigliere Toro. Una volta sconfitto, il dittatore rivela impietosamente la propria debolezza, mentre l’imbelle figlio Adrastino diventa strumento di un Potere occulto alla continua ricerca di nuovi strumenti di sfruttamento e manipolazione.
«Il delirio di Adrasto»: Toro e Adrastino si preparano alla resa dei conti finale.
Il dramma
Gli attori della Geometria delle Nuvole, con la regia fantasiosa e attenta di Ilaria Fontanelli e Sandro Sandri, interpretano con grande energia interpretativa e forte impatto sul pubblico il dramma visionario di Çlirim Muça. Si è riso, sì, anche se a denti stretti, ma si è anche palpitato e sofferto, sull’onda emotiva ed emozionale di momenti crudi, primo tra tutti una sequenza di stupro che si è abbattuta come un colpo di mazza sui cuori e sulle coscienze di tutti i componenti del folto pubblico che gremiva l’Ordigno.
Ben calato nel ruolo, Sandro Sandri dipinge un Adrasto allucinato nel suo delirio di onnipotenza, al punto di perdere il contatto con la realtà. Chiara Cusino, al contrario vestendo i panni dell’infedele Toro, riesce a trasmettere agli spettatori, anche in modalità epidermica, la gelida strategia di un apparato che a tutto può rinunciare tranne che alla gestione delle leve più occulte del sistema. Convincente e incisiva anche la partecipazione di tutti gli altri: dall’imbelle Adrastino interpretato con grande ironia da Francesco Caniglia al brutale Moloch, tutto impeto e ringhi di Mattia Toni, per finire (ultime in ordine di elencazione ma non certo per impegno e capacità attoriale) alle due serve, la sfortunata Neusa Tonini Chivinda, impastata di acqua, sapone e ingenuità, e la scaltra quanto ambigua Giulia Paoli.
Vivaci e coinvolgenti le coreografie di Chiara Pistoia, ben centrati gli inserti musicali.
Risultato finale, com’è giusto che sia in questi casi, consensi in sala e ripetuti e prolungati applausi al calare del sipario. E il mio personale e convintissimo augurio che la messa in scena del dramma di Muça abbia un lungo e felice cammino nel maggior numero possibile di “piazze” italiane.
Le voci dei co-registi
«Ho puntato sul coinvolgimento emotivo del pubblico, attraverso la proposta agli spettatori di domande alle quali ho preferito, però, non somministrare risposte preconfezionate. Attraverso un gioco di luci in grado di mettere in luce i contrasti più spiazzanti e le caratteristiche più oscure dell’anima di un tiranno e di valorizzare i molti richiami simbolici disseminati da Çlirim Muça nella sua opera (l’osso di Adrasto, i guanti di gomma del viscido e bieco consigliere Toro, dal quale piovono piume di pollo, la catena legata al collo dello sgherro più fedele, il contrasto tra il trono che accoglie il padre e il seggiolino da bambino sul quale è costretto l’erede). Adrasto non ascolta, preferendo un’unica via di comunicazione, dall’alto in basso, e questa, che a un primo superficiale esame può sembrare un punto di forza, si dimostrerà alla fine la sua più devastante debolezza, fatalmente destinato a perderlo.»
«Adrasto si crede un dio, ma in realtà è solo la facciata di compensato e cartone che nasconde il vero aspetto dei palazzi in cui effettivamente, all’insaputa del mondo, gli autentici padroni del mondo tessono le loro oscure trame . Un dittatore-fantoccio a sua insaputa, una marionetta i cui fili, tirati da burattinai senza morale e senza scrupoli, sono costituiti dalla incoercibile vanità da cui è afflitto, da un cieco quanto ottuso tornaconto personale, fatto più di apparenze (simboleggiate dalle schiave che lo accudiscono) e dal piacere che prova nel sottomettere il suo popolo in una sorta dii continuo stupro morale, oltre che fisico. Di lui, e dei temi affrontati in questo dramma, mi ha stupito e aiutato a centrare meglio l’interpretazione, la “preveggenza” con la quale Çlirim Muça ha trattato (ricordo che l’opera è datata 1995) temi che in questo primo scorcio di terzo millennio, si sono fatti di angosciosa attualità.»
Una cosa sola è certa, per chi, dopo avere assistito allo spettacolo, abbandona il teatro per tornare a casa: la mannaia che cala nel finale forse decapita Adrasto, ma non certo le mille teste da Idra che s’innestano nell’invadente e opprimente corpaccione del Sistema.
Guitto Matto