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Attenzione: qui si trattano OVVIETÀ NON PERCEPITE: spunti di riflessione su quegli argomenti che sembrano banali e scontati ma che, per molteplici quanto validissime occasioni, molto spesso non risultano affatto tali.
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Stavolta si parte con una citazione: «… tutte le mie osservazioni mi hanno convinto che è una ragazza ingenua, amabile, di buona istruzione, ottimi principi, che pone tutta la sua felicità negli affetti e nell’utile della vita domestica.» (J. Austen: Emma, 1815).
Questo era l’ideale maschile di donna nell’Inghilterra della Austen, quella della Reggenza.
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Ma per molti, ancora oggi, in Italia, questo sembra essere un buon standard di riferimento.
Uno per tutti, un certo qual comico decaduto, garante di un movimento anch’esso in avanzato stato di decomposizione.
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Ma del grillo sparlante, sputacchiante e sull’orlo di un attacco apoplettico, non voglio parlare. Già troppo spazio gli hanno dato i media.
Lo cito, esclusivamente, quale punta di iceberg di un fenomeno allarmante.
Infatti, sotto questo bubbone purulento, cova e prolifica la vasta massa tumorale dei femminicidi e delle violenze (fisiche e psicologiche) attuate da padri, nonni, zii, fratelli, mariti, compagni, amanti, etc. etc.
Ma noi non dobbiamo preoccuparci. Dobbiamo stare tranquilli, perché c’è chi ci difende. C’è chi dà l’esempio. Sono loro: i progressisti, le menti aperte. Quelli che, per definizione, fanno solo le cose giuste. Quelli che sanno dare una bella sferzata alla condizione femminile. Arrivano e via, praticamente il giorno dopo, sostituiscono, senza sé e senza ma, due maschi in posizione chiave, con due femmine!!! E, per fortuna, non sono soli in tale sostanziale riformismo! A loro, si aggiungono gli stupratori della lingua italiana. Quelli che, assaliti da sacro furore, mettono in atto
modifiche importanti a favore della condizione femminile, aggiungendo una femminilissima “a” ad ogni nome maschile. Ed ecco, quindi, che nelle nostre case arrivano la sindaca, la ministra, la dottora, l’ingegnera, la capa, la presidenta…
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E tutto questo, impunemente, con il beneplacito dell’Accademia della Crusca che, con un’operazione definibile – in termini tecnici – “ arrampicata sugli specchi”, avalla tali neologismi, un po’ per opportunismo, un po’ per togliersi la polvere dai vetusti abiti.
A noi, queste cose, non piacciono affatto.
Noi, che la lotta per la parità l’abbiamo fatta sulla nostra pelle.
Giorno dopo giorno. Anno dopo anno.
Noi, che abbiamo dovuto sgomitare già nella culla.
Perché un figlio maschio è bello, una figlia femmina…insomma.
Noi, che non siamo mai state né brave ragazze, né ragazze da sposare.
Noi, che ci siamo strappate il velo dalla testa, il reggiseno dal petto, la fede dal dito.
Noi, che abbiamo rinunciato all’amore, se in quello sentivamo presunzione di possesso.
Noi, che non siamo mai appartenute a nessuno.
Noi, che abbiamo rifiutato gli stereotipi di maternità e di famiglia imposti alle nostre madri.
Noi, che abbiamo studiato e lavorato il doppio, per avere in cambio la metà.
Noi, che abbiamo portato con dignità la qualifica di divorziate, quando quel termine era sinonimo di “donna dai facili costumi”.
Noi, che…
Noi, che – di fronte a tanta superficialità – ci sentiamo, a volte, un tantino stanche.
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Cinquant’anni fa, Lennon scriveva “Woman is the nigger of the world”. Oggi, nel 2021, in Italia, ancora tante, troppe donne vivono in una condizione di dipendenza ed inferiorità.
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Anche in questo, il nostro Paese soffre di arretratezza.
L’ovvietà questa volta è fin troppo ovvia.
È che per cambiare qualsiasi condizione incistata, come la condizione femminile, ci vuole una rivoluzione culturale sostanziale, profonda. Le parole ed i piccoli sotterfugi formali servono solo a mettere in pace certe coscienze. Insomma, per cambiare bisogna cambiare la testa di molti uomini. E, ahimè, anche di molte donne.
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Patrizia Serra (*)
(*) Detta Zizzia (solo da sua madre), farmacista, ma anche copywriter e direttore creativo. Quindi multiforme o incasinata. Comunque da sempre fortemente resiliente, anche in era ante Covid.